Riproponiamo l’articolo del NYT e a seguire abstract e riassunto dello studio cui l’articolo fa riferimento.

L’11 febbraio scorso, il New York Time ha pubblicato un articolo scritto da Gina Kolata, intitolato “Crolla il valore scientifico del topo come modello di malattie letali nell’uomo”, che riprende una recente ricerca in cui si dimostra che le ricerche sui topi non sono affatto in grado di comprendere quanto avviene in tre importanti patologie umane: sepsi, traumi e ustioni.
L’articolo citato, è stato pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.

Per decenni, i topi sono stati la specie più utilizzata nello studio delle malattie umane. Ma adesso i ricercatori hanno ottenuto la prova che il modello murino sia stato totalmente fuorviante per almeno 3 diversi tipi di patologie mortali (sepsi, traumi e ustioni). Di conseguenza, essi affermano, che anni di lavoro e miliardi di dollari sono stati sprecati seguendo false piste.
Ciò non significa che il topo sia un modello inutile per tutte le malattie umane. Tuttavia, essi sollevano interrogativi su patologie come quelle che riguardano il sistema immunitario, inclusi cancro e disturbi cardiaci.
“Il nostro articolo apre la possibilità ad una situazione parallela di essere presente”, dice il Dr. H. Shaw Warren, un ricercatore sulla sepsi all’Ospedale Generale del Massachusetts e uno degli autori principali del nuovo studio.
L’articolo, pubblicato lunedì in “Proceedings of the National Academy of Sciences”, aiuta a spiegare perché sono falliti tutti i circa 150 farmaci, testati con enorme dispendio su pazienti affetti da sepsi. Tutti i test farmacologici si basavano sullo studio dei topi. E adesso viene dimostrato che i topi possono avere qualcosa che assomiglia alla sepsi negli uomini, ma in realtà è una condizione molto diversa da quella umana.
Esperti medici non legati a questo studio hanno detto che i risultati dovrebbero cambiare il corso della ricerca a livello mondiale per tale fatale e frustrante patologia. La sepsi, una reazione potenzialmente mortale che avviene quando il corpo prova a lottare contro un’infezione, colpisce 750 000 pazienti all’anno negli USA, uccide da un quarto alla metà di essi e costa alla nazione 17 miliardi di dollari all’anno. E’ la principale causa di morte nelle unità di terapia intensiva.
“Questo è un cambiamento rivoluzionario”, dice il Dr. Mitchell Fink, un esperto della sepsi dell’Università della California di Los Angeles, riguardo al nuovo studio.
“E’ strabiliante”, dice il Dr. Richard Wenzel, ex direttore del dipartimento di medicina interna alla Virginia Commonwealth University e già redattore del ‘New England Journal of Medicine’. “Hanno assolutamente ragione”.
Risposte immunitarie potenzialmente fatali avvengono quando il sistema immunitario di una persona iperreagisce a ciò che percepisce come un segnale di pericolo, incluse molecole tossiche da batteri, virus, funghi o proteine rilasciate da cellule danneggiate da traumi o ustioni, dice il Dr. Clifford S. Deautschman, che dirige le ricerche sulla sepsi all’Università della Pennsylvania e non ha fatto parte dello studio.
Il sistema immunitario accelerato rilascia le sue proteine in quantità talmente elevate che i capillari iniziano a perdere sangue. La perdita diventa eccessiva, e il siero fuoriesce dai piccoli vasi sanguigni. La pressione sanguigna cala, e gli organi vitali non ricevono più sangue sufficiente. Nonostante gli sforzi, i medici e gli infermieri in un reparto di terapia intensiva o pronto soccorso possono non essere in grado di fronteggiare queste perdite, fermare l’infezione e il danno tissutale. Successivamente vi è il collasso degli organi vitali.
Il nuovo studio, che è durato 10 anni e ha coinvolto 39 ricercatori in tutto il Paese, è iniziato studiando i globuli bianchi di centinaia di pazienti con gravi ustioni, traumi o sepsi, per vedere quali geni venivano usati dai globuli bianchi nel rispondere a questi segnali di pericolo.
I ricercatori hanno trovato alcune informazioni interessanti e accumulato un grande numero di dati, rigorosamente raccolti, che dovrebbero contribuire a far progredire il settore, ha detto Ronald W. Davis, esperto di genomica presso la Stanford University e autore principale del nuovo studio. Alcuni dati sembravano consentire la previsione di chi sarebbe sopravvissuto e chi sarebbe finito in terapia intensiva, aggrappandosi alla vita e, spesso, morendo.
Il gruppo aveva cercato di pubblicare le sue scoperte in diversi giornali. Un’obiezione, afferma il dottor Davis, era stata che i ricercatori non avevano dimostrato come i topi fornissero la stessa risposta genica.
“Erano così abituati a fare studi sui topi che per loro era quello il solo modo di convalidare le cose”, ha detto. “Hanno la cura dei topi talmente radicata che dimenticano che noi stiamo, invece, cercando di curare gli esseri umani.”
“Questo ci ha fatto pensare”, ha continuato. «Lo stesso avviene nei topi, oppure no?”
Il gruppo decise di indagare, aspettandosi di trovare alcune somiglianze. Ma quando i dati furono analizzati, non ve ne era alcuna.
“Eravamo proprio spiazzati” ha detto il dr. Davis.
I fallimenti dei farmaci divennero chiari. Ad esempio, un gene poteva essere attivato spesso nei topi, mentre il gene equivalente veniva soppresso negli esseri umani. Una sostanza che agiva nei topi disattivando un gene poteva avere una risposta letale nell’uomo.
Ancora più sorprendente, ha affermato il dr. Warren, è che condizioni diverse nei topi – ustioni, traumi, sepsi – non creavano la stessa risposta. In ognuna di queste condizioni entravano in azione gruppi di geni diversi, mentre negli esseri umani geni equivalenti vengono utilizzati in tutte e tre le condizioni. Questo significa, ha detto il dr. Warren, che se i ricercatori possono trovare un farmaco che funziona per una di quelle condizioni nell’uomo, potrebbe funzionare per tutte e tre.
I ricercatori hanno provato per più di un anno a pubblicare il loro studio, che ha dimostrato non esserci alcuna relazione tra le risposte genetiche dei topi e quelle degli esseri umani. L’hanno presentato a Science e Nature, nella speranza di raggiungere un vasto pubblico, ma entrambi i giornali lo hanno rifiutato.
Science e Nature hanno dichiarato che la loro politica è di non fare commenti su di un documento rifiutato, e nemmeno di far sapere se è stato presentato. Ma, Pinholster Ginger di Science ha dichiarato: la rivista accetta solo circa il 7 per cento dei circa 13.000 studi presentati ogni anno, quindi non è raro che uno studio debba girare a lungo.
Inoltre, il dr. Davis ha detto, “i revisori non avevano evidenziato errori scientifici”. Invece, ha dichiarato, “la risposta più comune è stata ‘Deve essere sbagliato. Non so il motivo per cui è sbagliato, ma deve essere sbagliato.’ ”
I ricercatori si volsero, dunque, verso Proceeding of the National Academy of Sciences. In qualità di membro dell’accademia, il dottor Davis poteva suggerire i recensori per il suo studio e propose i ricercatori che pensava avrebbero dato al lavoro la giusta attenzione. “Se a loro non piace, voglio sapere perché”, ha detto. I revisori hanno consigliato la pubblicazione e il comitato di redazione della rivista, che valuta in modo indipendente gli studi, ha concordato.
Alcuni ricercatori, leggendo lo studio oggi, dicono che sono stupefatti, allo stesso modo i cui i ricercatori lo furono quando videro i dati.
“Quando ho letto lo studio, sono rimasto sbalordito da quanto i dati provenienti dai topi siano sbagliati,” ha detto il dott. Fink. “E ‘davvero incredibile – non vi è alcuna correlazione. Questi dati sono così convincenti e così consistenti che penso che gli enti di finanziamento ne stiano prendendo nota. “Fino ad ora, ha detto,” per ottenere i finanziamenti, si doveva proporre esperimenti che utilizzavano il modello animale.”
Eppure c’era sempre stato un indizio importante che i topi non potevano davvero imitare gli esseri umani in questo ambito: è molto difficile uccidere un topo con una infezione batterica. I topi hanno bisogno di un milione di volte più batteri nel sangue rispetto a quelli che uccidono una persona.
“I topi possono mangiare spazzatura e cibo che è in giro ed è marcio,” ha detto il Dr. Davis. “Gli esseri umani non possono farlo. Siamo troppo sensibili”.
I ricercatori hanno detto che se riuscissero a capire cosa rende i topi tanto resistenti, potrebbero forse trovare il modo di rendere le persone resistenti.
“Questo è un documento molto importante”, ha dichiarato il Dr. Richard Hotchkiss, un studioso di sepsi alla Washington University che non ha partecipato allo studio. “Esso dice con forza – di andare dai pazienti e prendere le loro cellule. Prendere i loro tessuti ogni volta che si può. Prendere le cellule dalle vie respiratorie. ”
“Per capire la sepsi, si devono studiare i pazienti”, ha detto.
(traduzione S. Cagno)

http://www.nytimes.com/2013/02/12/science/testing-of-some-deadly-diseases-on-mice-mislead-report-says.html?_r=1

“Risposte genomiche in modelli murini mimano scarsamente le malattie infiammatorie umane”

Abstract:

Una pietra miliare della moderna ricerca biomedica è l’uso di topi come modelli per esplorare meccanismi di base della fisiopatologia, valutare nuovi approcci terapeutici e prendere decisioni sul far proseguire o meno in trial clinici nuovi farmaci candidati. Studi sistematici che valutino l’affidabilità dei modelli murini nel mimare le malattie infiammatorie umane sono inesistenti. Qui, dimostriamo che, anche se stress infiammatori acuti da differenti eziologie creano risposte genomiche altamente simili in esseri umani, le risposte nei corrispondenti modelli murini correlano scarsamente con le condizioni umane e viceversa. Tra i geni cambiati significativamente negli esseri umani, gli ortologhi murini sono vicini in modo casuale in corrispondenza delle loro controparti umane. Oltre a miglioramenti negli attuali sistemi di modello animale, il nostro studio supporta una priorità ancora maggiore per la ricerca medica traslazionale, e cioè focalizzarsi sulle condizioni umane più complesse, piuttosto che basarsi su modelli murini per studiare malattie infiammatorie nell’essere umano.

Riassunto:

I modelli murini sono stati ampiamente utilizzati negli ultimi decenni per identificare e testare farmaci, candidati poi alle successive sperimentazioni umane. Tuttavia, solo un numero esiguo di questi trials umani hanno dimostrato successo. Il tasso di successo è ancora peggiore in quelle sperimentazioni nel campo delle infiammazioni, una condizione presente in molte malattie umane. Ad oggi, sono stati quasi 150 i trials clinici per testare farmaci candidati a bloccare la risposta infiammatoria in pazienti criticamente malati, e ognuno di questi è fallito (alla prova clinica sull’uomo).
Nonostante ci si interroghi sempre più spesso in merito ad un eccessivo affidarsi al modello animale per modelli umani di immunologia, in assenza di prove sistematiche, investigatori e regolamentatori pubblici suppongono che i risultati della ricerca animale riflettano le malattie umane. Ad oggi però, non ci sono stati studi per valutare sistematicamente, su base molecolare, quanto bene i modelli murini imitino malattie infiammatorie in pazienti umani.
L’infiammazione e la Risposta dell’Ospite al Danno, Programma collaborativo di ricerca su larga scala, ha completato diversi studi su risposte genomiche di infiammazione sistemica in pazienti e volontari umani, così come su modelli murini.
In questo articolo, riportiamo un confronto sistematico della risposta genomica tra malattie infiammatorie umane e modelli murini. In primo luogo, abbiamo confrontato le correlazioni dei cambiamenti di espressione genica in traumi, ustioni ed endotossiemia, tra soggetti umani e corrispondenti modelli murini. In secondo luogo, abbiamo caratterizzato e confrontato le risposte temporali geniche viste in queste condizioni umane e nei modelli murini. In terzo luogo, abbiamo anche individuato i principali percorsi di segnalazione significativamente regolati nella risposta infiammatoria alle lesioni umane e li abbiamo confrontati con il modello umano di endotossiemia e tre modelli murini.
Quarto, abbiamo cercato e valutato studi su pazienti e modelli murini rappresentativi di ulteriori malattie infiammatorie acute. Questi risultati mostrano che le risposte genomiche a diverse sollecitazioni infiammatorie acute sono molto simili negli esseri umani, ma queste risposte non vengono riprodotte negli attuali modelli murini. Nuovi approcci devono essere esplorati per migliorare i metodi con i quali le malattie umane vengono studiate.
Un presupposto insito nell’utilizzo di modelli murini per imitare l’infiammazione sistemica umana è che è il decorso di lesioni e di riparazioni tra le specie è simile. Le decisioni sui tempi di acquisizione del campione, gli endpoint per l’analisi o il dosaggio dei farmaci, sono dipendenti da questo presupposto.
Abbiamo “interrogato” perturbazioni genomiche in condizioni umane e modelli murini, in diversi intervalli di tempo (giorni, settimane, mesi e anni).
Anche se in tutte le condizioni, il tempo di risposta genica si è verificato entro le prime 6-12 h, il tempo di recupero differisce drasticamente. Le perturbazioni genomiche vengono recuperate, nei modelli murini tra alcune ore e quattro giorni, ma nei pazienti durarono da 1-6 mesi. Inoltre, c’è grande variabilità tra i tre modelli murini, suggerendo che le risposte nei topi non solo sono diverse dalle condizioni umane, ma differiscono anche le une dalle altre.
Abbiamo identificato i principali percorsi di segnalazione significativamente regolamentati in lesioni umane e li abbiamo confrontati con un modello umano di endotossiemia e tre modelli murini.
In ogni percorso, il modello umano di endotossiemia aveva molta più somiglianza ai danni umani di quello visto in modelli murini.
Siamo rimasti sorpresi dalla scarsa correlazione tra le risposte genomiche nei modelli murini e quelli in lesioni umane, soprattutto vista la prevalenza in tutto il mondo dell’uso di topi come modello umano per l’infiammazione.
Abbiamo, quindi, cercato e valutato ulteriori pazienti e corrispondenti modelli murini da Gene Expression Omnibus (GEO) per diverse altre gravi malattie acute infiammatorie (sepsi, sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) e infezioni).
Come mostrato in figura 4 e in tabella 1, le risposte genomiche in pazienti correlano bene l’una con l’altra, queste risposte sono state invece scarsamente imitate dai modelli murini. Inoltre, dati pubblicati su lesioni da radiazione hanno mostrato risultati simili.
Studiare le malattie nei pazienti è molto più complesso dello studio di sistemi modello. Nei pazienti con i traumi che abbiamo studiato, esisteva eterogeneità di paziente nelle caratteristiche più rilevanti.
Tuttavia, nonostante questa eterogeneità, abbiamo osservato un’ alta coerenza di risposta genomica nei pazienti tra traumi e ustioni, in assoluto contrasto con la mancanza di correlazioni nei modelli murini.
Ci sono più considerazioni in merito alla nostra constatazione che la risposta trascrizionale in modelli murini riflette così male le malattie umane, tra cui la distanza evolutiva tra gli esseri umani e topi, la complessità della malattia umana, la natura inbred del modello murino e spesso, l’uso di singoli modelli meccanicistici.
Inoltre, le differenze nella composizione cellulare tra topi e tessuti umani, possono contribuire alle differenze viste nella risposta molecolare. Diversi intervalli temporali di recupero da una malattia tra i pazienti e i modelli murini sono un problema inerente l’ uso dei modelli murini. Eventi che appaiono nel tempo relativi alla cura clinica dei pazienti (ad esempio liquidi, farmaci, chirurgia e supporto alla vita) probabilmente alterano le risposte genomiche che non vengono espresse in modelli murini.
L’evoluzione del sistema immunitario per qualsiasi specie è, almeno in parte, una diretta conseguenza della pressione di selezione esercitata per quella specie. Relativamente alla risposta umana, i topi sono altamente resistenti alla sfida infiammatoria. Per esempio, la dose letale di endotossina è 5–25 mg/kg per la maggior parte dei ceppi di topi, mentre una dose che è 1,000,000 volte inferiore (30 ng/kg) è stata segnalata causare uno shock nell’uomo. L’estrema sensibilità degli esseri umani rispetto a topi ad una infiammazione massiccia può provocare risposte genomiche che raggiungono una soglia superiore in ogni malattia umana, mentre la resilienza dei topi può evitare risposte massime e portare ad una maggiore eterogeneità.
Nuovi approcci potrebbero essere esplorati per migliorare i modelli attuali. Ciononostante, il nostro studio supporta una maggiore priorità di focalizzarsi sulle condizioni umane più complesse, piuttosto che basarsi su modelli murini per lo studio di malattie infiammatorie umane.

Link per studio versione integrale e riferimenti bibliografici:
http://www.pnas.org/content/110/9/3507.full

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